By |Categorie: Investimento, Pensione|Pubblicato il: 13 Marzo, 2023|

Questo articolo è l’ideale proseguimento di “C’è chi spera in un mercato ribassista e chi in un mercato rialzista“, post nel quale ho cercato di spiegare perché un giovane investitore dovrebbe sempre sperare sempre in un mercato ribassista profondo e prolungato, mentre un investitore di mezza età prossimo alla pensione dovrebbe augurarsi (quasi sempre) l’esatto opposto.

Quattro profonde correzioni in 20 anni

Siamo stati “fortunati”. Abbiamo vissuto, come investitori, quattro mercato ribassisti (o bear market come si dice in gergo tecnico quando viene superata una perdita del 20% rispetto ai precedenti massimi) nei primi 20 anni di questo ventunesimo secolo.

Lo scoppio della bolla internet, la crisi immobiliare in America, la pandemia e, infine, quello ancora in corso che possiamo collegare all’iperinflazione.

In mezzo tante correzioni di mercato (sette per la precisione e comprese tra -10% e -20%).

Siccome le prime due ferite sono state laceranti con cali superiori al 50%, l’arco temporale 2001-2020 è perfetto per vedere cosa è successo ad un giovane investitore che ha cominciato ad accumulare denaro investendolo sui mercati azionari proprio nel 2001, e cosa è successo  invece ad un neopensionato che nel 2001 ha cominciato a prelevare denaro per integrare la pensione.

Le ipotesi sul tavolo sono le seguenti.

Ipotesi n.1 – il giovane investitore

Il giovane risparmiatore ha l’obiettivo di accumulare un capitale da 500 mila euro in 20 anni.

Per fare questo investirà in un ETF 100% azionario costituito 50% azioni americane e 50% azioni del resto del mondo.

Per avere una buona probabilità di tagliare il traguardo definito come obiettivo, il piano di accumulo mensile dovrà essere piuttosto aggressivo fin da subito. Quindi 650 euro al mese aggiustando l’importo annualmente risparmiato per tenere conto dell’inflazione. Questo significa che ipotizzando un’inflazione media al 2%, a partire dal secondo anno l’investimento mensile diventerà 663 €.

Sento già in sottofondo gli ululati degli scettici. Ma un giovane italiano non riuscirà mai ad accumulare tutti questi soldi!

Non è possibile generalizzare, ma secondo le statistiche più recenti tra i 25 e i 29 anni un ragazzo/ragazza italiano porta a casa tra i 13 e i 17 mila euro di stipendio.

Molto poco è vero, ma è dal poco che si costruisce qualcosa per farlo diventare grande. Se siamo già benestanti non abbiamo bisogno di fare grandi sacrifici. Ma se non lo siamo umiltà, ambizione e sacrificio sono tre parole con le quali dovremo fare regolarmente i conti per qualche anno.

Questo stipendio medio è comunque un valore di partenza che si presume nei prossimi 20 anni crescerà creando le condizioni per centrare agevolmente l’obiettivo dei 650 € al mese.

Senza piangersi troppo addosso, una parte dei 650 € è “risparmiabile” esentasse da un giovane single entrato nel mondo del lavoro (regolare) attraverso TFR, quota personale e quota del datore di lavoro, tutti conferiti ad un fondo pensione.

Quello che manca dipenderà dalla capacità di vivere all’inizio in modo molto austero cercando di mantenere un elevato tasso di risparmio, dalle capacità personali e dalle ambizioni professionali. Fare un secondo lavoro, rendere profittevoli certi hobby, mettere a frutto studi e passioni personali potrebbero essere alcuni esempi di attività che integrano e avvicinano l’obiettivo mensile di risparmio. Che magari sarà discontinuo ma che nel tempo tenderà a stabilizzarsi e ad aumentare la sua portata.

Ma torniamo al nostro confronto.

Ipotesi n.2 – il neo pensionato

Il neopensionato, a differenza del giovane, ha già accumulato 500 mila euro a fine 2000 e vuole utilizzare questa somma per i prossimi 20 anni prelevando 25 mila euro (lordo tasse) ogni 12 mesi. L’importo del prelievo, il 5% del capitale, verrà inevitabilmente aggiustato per l’inflazione per mantenere inalterato il potere d’acquisto.

L’allocazione di portafoglio rimarrà al 100% azionario per tutto il periodo.

Scenario forse poco realistico ma che per raggiungere il 5% di tasso di prelievo rappresenta quasi un passaggio obbligato e non esente da rischi. In realtà non è esattamente così e lo capiremo dopo.

Per il neopensionato l’evoluzione del capitale dopo ogni prelievo e tenendo conto dei movimenti reali di mercato sarebbe stata la seguente.

Fonte: Portfoliovisualizer

Vero che l’ipotesi non tiene conto che si percepirà comunque ad un certo punto una pensione pubblica (grande o piccola che sia), ma pensare a una persona serena dopo aver visto quasi dimezzare il capitale già nel 2003 e di nuovo nel 2009 mi pare un po’ utopistico.

Facile da raccontare sulla carta di un backtest o di un foglio excel, più difficile quando hai 65-70 anni e ancora un pò di tempo da vivere si spera in salute.

Anche perché, nel 2003 e nel 2009, non si poteva prevedere come si sarebbero mossi in futuro i mercati finanziari.

La narrativa a quei tempi, lo ricordo benissimo, era decisamente funerea. Una ripresa era probabile (i mercati si riprendono sempre), ma in quanto tempo? E soprattutto il secondo colpo da KO del 2008 stremò anche i più ottimisti che in larga parte scalarono la marcia del rischio.

La realtà ci ha raccontato che la fortuna sarebbe stata dalla parte del neo pensionato ostinato e razionale. La ripresa travolgente della decade successiva ha permesso così di “salvare” dignitosamente la barca.

Ma con oltre 290 mila euro di capitale residuo alla fine dei 20 anni si può legittimamente pensare di sopportare il decumulo del capitale per altri 10 anni ad un tasso del 5% senza correre il rischio di sopravvivere al capitale (quindi rimanere a secco)?

Ad inizio 2023, quindi dopo un’altra importante correzione di mercato come quella in corso, la situazione risulta ancora sotto controllo se la rendita passiva è integrata dalla pensione pubblica. Un pò meno se stiamo vivendo solo ed esclusivamente con il capitale privato visto che quota 200 mila euro è già prossima ad essere violata verso il basso con il prossimo prelievo annuale.

E se le cose dovessero andare male?

Ma cosa sarebbe successo se i mercati azionari avessero vissuto un periodo più prolungato di stagnazione stile Giappone? Scenario già visto non solo in terra d’Oriente, ma anche negli stessi Stati Uniti per quasi 14 anni tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 80.

Il lungo periodo diventerebbe sempre più breve cominciando a mettere in dubbio la possibilità di sopravvivere al proprio capitale.

Che a quel ritmo di prelievo e senza crescita si esaurirebbe in meno di 10 anni.

Servirebbero così dei correttivi per evitare il disastro. Correttivi che potrebbero essere, a quel punto della vita, solo una riduzione del tasso di prelievo con tutte le conseguenze del caso sul tenore di vita familiare.

Forse sarebbe stato più opportuno essere prudenti fin dall’inizio adottando un tasso di prelievo “realistico” tra il  3% e il 4% e oggi la prospettiva sarebbe decisamente diversa.

Ascoltare e soprattutto credere ciecamente in qualche illusorio racconto di vita FIRE da parte di coloro che stanno integrando il loro capitale proprio con i soldi della pubblicità incassata da YouTube o con qualche corso che insegna al mondo come vivere smettendo di lavorare (facciamoci sempre qualche domanda del perché non fanno filantropia ma preferiscono monetizzare proprio su quell’argomento), è pericoloso e irrealistico.

Alcune persone serie (poche) in rete ci sono, mostrano i loro conti, non fanno video da Dubai e non hanno 40 anni. E quelle persone vi diranno che non è facile arrivare fino a quel punto. Sono serviti compromessi, sacrifici, scelte anche difficili.

Per questo genere di vita servono tanti soldi e quando pianifichiamo il dopo dobbiamo basarci sul pessimismo, sugli scenari peggiori di crescita del capitale, non su quelli medi o più ottimistici. Perché poi indietro non si ritorna.

Ma torniamo alla nostra simulazione. Un’altra opzione poteva essere quella di gestire il rischio fin da subito riducendo la velocità di crociera della nave. Con una minore allocazione nell’azionario a favore del poco affascinante obbligazionario per esempio. Non una ricetta valida per tutti, in fondo a 60 anni abbiamo ancora davanti 30 anni di mercati finanziari, ma una ricetta che potrebbe aiutarci a stare meglio e più tranquilli. Ovviamente abbassando le pretese.

Siccome la sequenza dei rendimenti ha un impatto notevole per chi sta decumulando capitale, soprattutto nella parte iniziale del percorso, partire fin da subito con un’allocazione degli investimenti più prudente 60% azioni e 40% obbligazioni avrebbe permesso al nostro pensionato di prelevare la stessa cifra ma arrivando al 2023 con un capitale residuo decisamente più alto di quasi 150 mila euro. Nonostante il 2022 terribile vissuto dalle obbligazioni.

Il motivo sta tutto nel dove si sono verificati i cali più importanti dei mercati azionari. All’inizio del periodo della pensione. Questo, combinato con i prelievi periodici che non rimangono più investiti e quindi non recupereranno mai più la perdita, è la causa del risultato deludente raggiunto del portafoglio 100% azionario.

Negatività per uno si trasforma in positività per l’altro

Torniamo adesso al giovane investitore che comincia ad accumulare nel 2001.

Nessuna piega ribassista nella curva del patrimonio nella sua parte iniziale. Il capitale è molto basso e quindi i ribassi di mercato sono irrilevanti. Anzi, praticamente il “razzo” graficamente sembra quasi in fase di decollo verticale.

Un bel vantaggio, ed ecco perché i giovani devono pregare per un bear market e ovviamente non stare fuori quando le cose vanno male.

Una correzione nel 2008 provoca un po’ di dolore, una scivolata che non rovina la vita di nessun adulto prossimo ai 30/35 anni. Ma poi la crescita si fa esponenziale, nella miglior tradizione dell’interesse composto, nella seconda parte del periodo.

 

Naturalmente anche in questo caso dovremmo chiederci cosa sarebbe successo se la decade successiva, 2010-2020 fosse risultata piatta.

In un certo senso il “regalo” che ci ha fatto il mercato lo stiamo già restituendo oggi con una fase di relativa stagnazione dal 2020 in avanti.

Aggiornando i dati ci accorgeremmo infatti che il montante finale non cambierebbe granché oggi rispetto a quello del 2020.

Ma davanti ci sono ancora anni di accumulazione (il vero lungo periodo), tanto capitale umano ancora da valorizzare, la possibilità di risparmiare di più grazie anche ad un livello di reddito (si spera) ancora elevato, l’opzione estrema di lavorare più a lungo. Possiamo comunque prendere adeguate contro misure senza avere l’angoscia di “sopravvivere” al nostro capitale per sfortuna o sbagliata pianificazione.

Tutto questo per dire che cosa.

Per dire che la definizione di lungo periodo è usata (e abusata) in modo a volte non sempre corretto. Prima di tutto è estremamente personale e soggettiva. Anche ammettendo di riuscire a quantificare questa definizione con un numero, il suo significato è diverso da investitore a investitore.

Un orizzonte temporale di 20 anni è solitamente considerato un lungo periodo.

Ma come abbiamo appena visto è un lungo periodo (vero) gestibile per una persona nella fascia di età tra zero e 40 anni.

È un lungo periodo (falso) per la maggioranza delle persone che superano i 55-60 anni e che contano su quel denaro per mantenere o migliorare il proprio tenore di vita. Torna ad essere vero se quelle stesse persone vogliono lasciare tutto in eredità ai figli che ovviamente appartengono ancora alla generazione precedente e possono tranquillamente sfruttare la volatilità dei mercati a proprio vantaggio.

Stessi tempi, ma ricette che dovranno essere necessariamente diverse per realizzare (bene) gli scopi per le quali sono state create.

Buon investimento.

2 Commenti

  1. Alessandro 14 Marzo 2023 at 06:22 - Reply

    Molto Interessante ( e terrificante per certi versi )
    Mi sono però sempre chiesto: ma questa regola del 4%, non è meglio dimenticarsela e utilizzare un bel portafoglio a distribuzione ,magari metà azioni con storia pregressa di buoni dividendi e metà obbligazioni?
    Non é – di gran lunga – meno stressante? E quel che arriva ogni mese , arriva.
    Saluti
    Alessandro

    • Lorenzo Biagi 14 Marzo 2023 at 06:39 - Reply

      Come sempre la risposta è…dipende. Se non sei interessato a “decumulare” una buona parte del capitale per lasciarlo in eredità allora puoi anche permetterti di investire con una larga fetta di azionario ad accumulazione. Se invece vivi con quei soldi faticosamente risparmiati perché la pensione è modesta allora meglio un bilanciato che comprende le obbligazioni visto che dipendi da quel capitale. Accumulazione o distribuzione è anche qui una questione di “sensazioni”. C’è chi preferisce intervenire manualmente vendendo quote di un fondo ogni mese (ma siamo sicuri di essere sempre così metodici e soprattutto sempre in grado di farlo…leggiti questo per capire cosa intendo https://investireconbuonsenso.com/2022/09/05/ma-chi-investira-al-mio-posto-quando-avro-tanti-anni-sulle-spalle/) e chi invece preferisce regolarmente ricevere dei dividendi. La questione fiscale nell’ultimo segmento di vita diventa pressoché irrilevante sotto questo punto i vista. Per esperienza ti posso dire che le persone da sole fanno fatica a scegliere e soprattutto a progettare razionalmente per tanto tempo. La soggettività in molti casi prevale. La paura di sbagliare pure. E per questo siamo qui per aiutare proprio chi desidera progettare questo processo delicato della vita presente e futura.
      A presto.

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