Quando viene raggiunto il tanto desiderato traguardo dell’indipendenza finanziaria, dopo un lungo percorso di accumulazione del denaro, ci troviamo di fronte a un nuovo modo di gestire il capitale.
In un precedente articolo abbiamo già elencato i fattori di rischio che accompagnano questa fase paradossalmente meno semplice rispetto a quella dell’accumulazione. Paradossalmente perché ci aspetteremmo di stare su una spiaggia tropicale a sorseggiare aperitivi senza doverci preoccupare della gestione del denaro. Non è proprio così.
Raggiunta l’indipendenza finanziaria scopriamo che non è semplice mantenerla
Quando accumuliamo il denaro, competenze, abilità intellettuali e fisiche ci permettono di sfruttare al massimo il nostro capitale umano. Massimizzando così le entrate. Se i mercati finanziari perderanno valore durante il viaggio, avremo sempre tempo, molto tempo davanti per recuperare e per risparmiare di più.
Entrati nella fase del decumulo questi fattori, fino a pochi momenti prima a noi favorevoli, progressivamente scompariranno.
Dovremo fare i conti con un patrimonio che, salvo importanti eredità o vincite al Superenalotto, tendenzialmente scenderà nel corso degli anni. Per l’erosione del potere d’acquisto, ma soprattutto perché consumato a fronte di una capacità di nuovo risparmio azzerata o molto modesta.
Il tasso di prelievo del capitale, fattore di rischio principale
Il fattore di rischio più importante si chiama tasso di prelievo annuo del capitale.
Non è l’andamento dei mercati, non è la volatilità, non è l’inflazione e non è nemmeno la lunghezza della nostra vita.
Quello che nei siti in lingua inglese troverete esplicitato come “withdrawal rate”, rappresenta la percentuale del portafoglio investito che andremo ogni anno a liquidare per integrare il nostro reddito complessivo o, se la pensione pubblica e altre rendite passive non esistono, per finanziare in modo esclusivo la vita quotidiana.
Tipicamente il tasso di prelievo è considerato annuale. Il famoso 4% della regola di Bill Bengen è il tasso di prelievo più celebre, ma nulla vieta che possa diventare trimestrale o mensile adeguandolo alle necessità di vita.
Per esempio un tasso di prelievo del 4% all’anno su un patrimonio di 500mila euro, significa che ogni anno avremo disponibili (al lordo delle tasse) sul nostro conto corrente 20mila euro.
Il tasso di prelievo può essere fisso, quindi ogni anno, indipendentemente da quello che succede preleviamo il 4% del capitale disponibile. Oppure il tasso di prelievo può essere variabile.
Meglio utilizzare un tasso di prelievo flessibile
Il tasso di prelievo variabile è sicuramente consigliato perché permette di ottimizzare la fase del decumulo prolungando la durata del capitale; l’aspetto negativo è che deve essere gestito con un metodo, mentre il tasso di prelievo fisso è comprensibile e applicabile da chiunque.
Ma perché il tasso di prelievo è considerato il fattore di rischio più importante per il successo finale del periodo di indipendenza finanziaria?
Perché i tanti fattori di incertezza che circondano il periodo del ritiro (di mercato e non) non ci permettono di sapere se con un prelievo annuo del 4% sopravviveremo al nostro capitale oppure esauriremo tutto quanto prima del nostro addio a questa vita. E questo rischia di essere un grossissimo problema, a qualsiasi età.
Un tasso di prelievo fisso molto basso abbassa il rischio di esaurire il capitale prima del tempo, ma avremo meno soldi per sostenere il tenore di vita desiderato e potremmo arrivare alla fine del percorso con addirittura più denaro di quello che avevamo in partenza. Alcune persone vedono la cosa in senso positivo (sicuramente i nostri figli) perché offre maggiori margini di sicurezza, ma attenzione a non cadere nel tranello di chi continua ad accumulare denaro anche durante questa fase senza godersi adeguatamente la vita.
Un tasso di prelievo fisso troppo alto aumenta il rischio di sopravvivere al nostro capitale. In questo caso avremo un tenore di vita sicuramente elevato, probabilmente più alto di quello che possiamo permetterci, ma così facendo rischieremo in pochi anni di distruggere in malo modo un lunghissimo periodo di sacrifici.
Il tasso di prelievo è il fattore di rischio che più è sotto il nostro completo controllo
Il destino del nostro vivere di rendita dipende in larga misura dal processo e dalle modalità di prelievo che applicheremo in questa fase.
La bontà di un solido piano finanziario di lungo periodo dipende soprattutto da come decideremo di gestire il nostro denaro in questo importante passaggio di vita.
Siccome non è semplice definire un tasso di prelievo ottimale, ecco spiegato il motivo per il quale in rete troviamo pochi youtuber rampanti in grado di spiegarci in qualche decina di minuti come rimanere ricchi durante la sospirata indipendenza finanziaria.
E non troveremo nemmeno tanti consulenti finanziari di banche o reti disposti a “perdere” tanto tempo nel pianificare un processo complesso che non può che essere alimentato con prodotti a bassissimo costo che non fanno parte del recenti “di casa”.
Per simulare un piano periodico di prelievo del capitale è necessario sapere quanto denaro realmente serve per finanziare adeguatamente il tenore di vita. E qui già molte persone vanno in difficoltà non avendo idea del proprio bilancio familiare. L’articolo pubblicato di recente sul tema spiega esattamente perché.
Il dato deve poi essere integrato con le rendite passive di cui già disponiamo (affitti, pensioni, rendite vitalizie, ecc…).
A quel punto si può cominciare a stimare un primo tasso di prelievo del capitale. Per quanti anni, è anche questo un processo che va completato in anticipo come abbiamo già spiegato in questo articolo.
Quanto capitale serve per vivere bene con rendite passive?
Dopo aver fatto questi preliminari compiti a casa, e definito il reale fabbisogno di partenza, solitamente le persone incontrano il primo shock. Scoprire quanto capitale serve per vivere di rendita.
Disponendo di un patrimonio importante come ad esempio 500mila euro, con un tasso di prelievo del 4% potremo permetterci di prelevare al lordo delle tasse sui guadagni finanziari (quindi in realtà serviranno più di 500mila euro) 20mila euro l’anno. Questo significa poco più di 1600 euro al mese. Poco, tanto, lascio a voi giudicare.
Questi sono soldi, se non siete soli, destinati a tutta la famiglia. Se disponiamo già di una rendita passiva i denari la integrano, ma se ci siamo ritirati dal lavoro a 50 anni e non abbiamo rendite passive questo importo potrebbe non essere sufficiente per vivere una vita decente, anche considerando inevitabili imprevisti.
Moltiplicando 20mila euro per 25 otteniamo esattamente 500mila euro; questo ci dice che non facendo nulla in 25 anni avremmo esaurito i soldi.
Peccato che l’inflazione riduce il potere d’acquisto del denaro. Ipotizzando un tasso medio di inflazione del 2% per i prossimi 25 anni il valore di 500mila euro si ridurrà a circa 305mila euro. Questo significa che i nostri 20mila euro prelevati ogni anno avranno un valore sempre più basso ogni anno che passa.
Con un tasso di inflazione del 3% il volume di denaro che ci servirà per mantenere inalterata la nostra capacità di spesa raddoppierà all’incirca ogni 24 anni. Se oggi spendiamo 50mila euro all’anno fra 24 anni ne spenderemo 100mila.
E’ per questo che il denaro deve rimanere investito durante il periodo dell’indipendenza finanziaria; ed è per questo che nella prima versione della teoria del 4%, questo era considerato il tasso di prelievo ideale per avere una ragionevole certezza che nell’arco di 30 anni un portafoglio bilanciato non sarebbe andato a zero prima del tempo.
Il tempo e la ricerca hanno dimostrato purtroppo che questo metodo del 4% non è efficace nel gestire la fase del decumulo.
Perché la regola del 4% non funziona
Le variabili da pianificare e da gestire sono tante. Potremmo ad esempio ottenere performance di mercato incredibilmente positive senza beneficiarne direttamente perché avremo mantenuto fisso il tasso di prelievo anche quando le cose andavano tremendamente bene.
Oppure potremmo vivere fasi di mercato negative o periodi di alta inflazione continuando allegramente a spendere e spandere senza renderci conto di andare incontro a un iceberg.
La spesa annua cambia nel tempo e tendenzialmente diminuisce all’avanzare dell’età. Il tasso di prelievo dovrebbe tenere conto anche di questo.
Pensare di risolvere tutto quanto con una semplice percentuale fissa rischia di distruggere in poco tempo quello che sapientemente abbiamo creato.
Un processo di pianificazione con simulazioni un pochino più raffinate sono un buon punto di partenza. Ma non sono sufficienti.
Il fai da te in questa fase è complesso e rischioso
Il “motore” di pianificazione deve essere alimentato da diverse informazioni. Ad esempio le valutazioni attuali dei mercati. Un conto è pianificare con i rendimenti storici, un conto con i rendimenti ragionevolmente attesi sulla base dei prezzi attuali di azioni e obbligazioni.
E poi c’è la manutenzione del piano. Esistono delle buone linee guida che permettono di agire in autonomia, ma più la posta in gioco è alta (non solo come denaro, ma come qualità della nostra vita) e più è importante evitare che un po’ di sabbia nell’ingranaggio faccia saltare tutto per aria. So di essere in conflitto di interesse, ma in questa fase una persona esperta in grado di supportarvi nella pianificazione e nella gestione del decumulo è uno degli investimenti migliori che potete fare. Ma ovviamente ognuno deve fare le proprie scelte in modo informato e consapevole.
In questo articolo abbiamo cominciato a comprendere l’importanza del tasso di prelievo.
Le scelte che faremo con questo numero percentuale saranno determinanti per migliorare o peggiorare la vita durante il nostro periodo di indipendenza finanziaria.
Nei prossimi articoli cercherò di entrare ancora più in profondità sul tema per spiegare i vantaggi e le modalità operative utili per impostare una strategia di prelievo flessibile del capitale.
Buon investimento.
Riflessioni: il sistema pensionistico italiano è sostenibile? La risposta è no. Tutti coloro che hanno un’età anagrafica inferiore ai 50 anni riceveranno la pensione? La risposta è no. Questo è quando informano i numeri. Chiunque, mi renderà ottimista con numeri solidi che contraddicono quanto indicato, sarà un piacere leggere e confrontarmi
Complimenti!
Aspetto sempre con molta impazienza di leggere l‘ ultimo articolo pubblicato.
Grazie per continuare a scrivere e divulgare queste informazioni, che il più‘ delle volte, si danno per scontate. Per me, non lo sono e sono molto utili e importanti.
Buon lavoro.
Grazie a te perché continui a seguire il nostro blog. Speriamo a questo punto di soddisfare adeguatamente la tua “impazienza” ogni volta che pubblichiamo qualcosa di nuovo. Facciamo del nostro meglio. A presto.
Una cosa si capisce bene…la complessità del “vivere di rendita”! Grazie per questo breve ma intenso articolo.
Esatto e infatti consiglio (senza disclaimer vari) di stare alla larga da chi pecca di eccessiva semplificazione su un argomento così delicato e importante. Perché indietro non si torna e qui gli errori si pagano più cari che in altri momenti della vita. Grazie a te per essere una nostra lettrice.
Io credo che questi articoli, copiati da quelli usuali negli USA, siano poco mirati per la situazione Italiana.
Qui abbiamo una pensione pubblica che, anche con il contributivo arriverà al 60% dell’ ultima retribuzione. Assolutamente non comparabile con la Social Security misera concessa dall’ altra parte del mare oceano.
Un buon fondo pensione può coprire un altro 20%. Resta un altro 20% di gap.
Un buon fondo azionario internazionale con i suoi dividendi copre, almeno parzialmente, quello che manca. Il famoso 4% é importante in USA: qui, per fortuna sianmo nella vecchia Europa.
Saluti.
Non sono d’accordo. Intanto anche in Italia dipende quale tenore di vita vuoi tenere. Se ti bastano i mille o duemila euro di pensione allora il tuo ragionamento non fa una piega, ma se come mi aspetto chi ha risparmiato e fatto rinunce nel corso della vita lo fa per avere una capacità di spesa di un certo tipo, allora la pensione pubblica diventa una delle tante rendite passive che ho citato nell’articolo e che vanno gestite.
Poi ci sono i tempi. Se mi voglio ritirare dal lavoro a 55 anni prima di arrivare a 65 o 70 ne passa di tempo e la pensione non è disponibile, il fondo pensione nemmeno. E qui serve la gestione del capitale che facile non è.
Infine direi che per un giovane o anche un 40enne la tua visione della pensione pubblica è molto ottimistica e temo viziata da una “vecchia idea” della cosa che purtroppo non sta più da queste parti nonostante i nostri politici cerchino di tenere in vita ciò che per come è oggi è sempre più insostenibile. Per come è strutturato il mondo del lavoro dei giovani oggi la Social Security americana rischia di diventare un fenomeno anche italiano visto che se la vecchia Europa non cresce economicamente non tutti i privilegi di oggi potranno essere quelli di domani. E ci sarà sempre più la necessità di fare da sè. Comunque vada, pensione, eredità, risparmi, se spendi male quello che hai a disposizione il game over non sarà una bella faccenda da risolvere.