By |Categorie: Investimento|Pubblicato il: 3 Luglio, 2023|

Il mondo dei fondi e degli ETF è da tempo diventato un vero e proprio supermercato.

A strumenti molto tradizionali che investono in classi di investimento come l’azionario globale oppure l’obbligazionario governativo, se ne affiancano altri che mixano diverse classi di investimento nel tentativo di plasmare rischio e rendimento grazie a una diversificazione maggiore e ad una sapiente decorrelazione tra le varie asset class.

Fondi ed ETF in Italia non sono però il massimo per un investitore che vuole rendere più efficiente la gestione fiscale dei propri investimenti.

Fondi ed ETF e quella fiscalità zoppa

Soprattutto per quello che riguarda il recupero delle minusvalenze, fondi ed ETF non offrono sponde favorevoli.

Quando realizziamo delle minusvalenze sui nostri investimenti vendendo in perdita il titolo X, queste minus entrano nello zainetto fiscale.

Quando realizziamo delle plusvalenze sui nostri investimenti vendendo in guadagno paghiamo per intero le imposte dovute senza poter compensare le minusvalenze.

Singole azioni, obbligazioni e certificates rimangono  gli strumenti più gettonati da consulenti e investitori per recuperare entro quattro anni le vecchie minusvalenze; con limiti e difetti evidenti per ciascuno di essi.

Pregi e difetti degli strumenti più efficienti per recuperare le minusvalenze

Dai rischi di concentrazione su uno o pochi emittenti, fino all’illiquidità o peggio il delisting di ognuna di queste soluzioni “fiscalmente” più efficienti, non abbiamo mai la soluzione perfetta. Quindi, banale scriverlo, sempre meglio affidarsi a queste soluzioni sotto la supervisione di un consulente finanziario e con un obiettivo ben preciso. Che quasi mai è l’investimento di lungo periodo.

Ma la fiscalità su fondi ed ETF lavora anche su un altro fronte molto spesso ignorato dagli investitori cosiddetti “nettisti” (il classico investitore individuale). Un fattore silenzioso e che entra in campo solo all’atto della vendita dello strumento.

Sto parlando del beneficio fiscale di cui godono in Italia certi strumenti a tassazione agevolata rispetto ad altri.

Questo beneficio fiscale garantisce ai possessori di titoli di Stato una tassazione su interessi e plusvalenze decisamente più vantaggiosa rispetto, non solo alle azioni, ma anche ad altri titoli obbligazionari. Se non possiamo recuperare le minusvalenze, possiamo però tentare di ridurre la tassa sulle plusvalenze.

Gli interessi generati dai titoli di Stato sono considerati redditi di capitale.

Le plusvalenze determinate dal rimborso sopra il prezzo di acquisto o dalla vendita sul mercato dei titoli ad un prezzo superiore a quello di acquisto, sono considerate redditi diversi di natura finanziaria e quindi, soggette come per i redditi di capitale, all’applicazione di un’imposta sostitutiva con una aliquota del 12,5%.

L’imposta del 12,5% si applica anche su plusvalenze e interessi generati da titoli di Stato esteri e non solo italiani.

Questa agevolazione fiscale riguarda solo per emissioni di paesi con giurisdizioni appartenenti all’elenco dei Paesi “white list”, ovvero quei paesi che garantiscono con l’Italia adeguata attività scambio di informazioni finanziarie ai fini fiscali.

Qui trovate una lista dei paesi rientranti nella white list.

Praticamente in questa lista troviamo quasi tutte le obbligazioni nelle quali possiamo investire direttamente con il nostro trading online e una larga fetta di quei titoli nei quali investono fondi e ETF, almeno dei paesi sviluppati.

Nel caso il paese emittente non dovesse rientrare nei paesi a fiscalità privilegiata, verrà applicata l’imposta sostitutiva al 26%.

Soluzione a fiscalità agevolata per chi vuole vivere di rendita

Un vantaggio non indifferente per chi sta cercando di costruire una rendita o semplicemente ha ottenuto una ricca plusvalenza sulla compravendita di questi titoli.

La differenza con utili e dividendi azionari è nota.

L’aliquota fiscale applicata sul reddito generato da un’azione sotto forma di dividendo o plusvalenza è del 26%. L’incasso di 1000 euro, al netto della tassazione sul capital gain, lascia sul nostro conto corrente solo 740 euro.

Un fattore non indifferente quando andiamo a rendicontare un risultato finale. E che dovrebbe sempre far guardare con spirito critico quella valanga di statistiche che vengono fatte circolare sulla capacità dell’azionario di essere più redditizio dell’obbligazionario inteso come titoli di Stato.

Verità, la superiorità dell’azionario nel produrre nel lungo periodo maggiori performance è incontestabile, ma che subiscono un downgrade di performance post tassazione. E volenti o nolenti le tasse sui guadagni fanno parte del gioco.

Nell’esempio che riporto qui sotto si può vedere come 30 anni di investimento su azionario e obbligazionario globale governativo con indici (e poi ETF) hanno determinato un vantaggio dell’asset class più aggressiva con una proporzione di performance pari a x4,5 rispetto a quella più conservativa.

Prima delle tasse però.

Tralasciando per comodità l’imposta di bollo applicata in Italia sugli investimenti finanziari, possiamo notare che, se 100 mila euro sono cresciuti fino a 1 milione di euro di valore finale (+938%) in 30 anni di investimento azionario, per l’obbligazionario la crescita si ferma poco sopra i 300 mila euro (+209%). La conferma della superiorità dell’investimento azionario.

Applicando sulla plusvalenza che incorpora interessi, dividendi e variazioni di prezzo (937.925 euro per l’azionario e 208.944 euro per l’obbligazionario) le rispettive aliquote fiscali (26% e 12,5%), abbiamo visivamente un’immediata percezione di quanto cambia il risultato finale.

Il vantaggio dell’investimento azionario rispetto a quello obbligazionario scende in proporzione da x4,5 a x3,8 volte.

Un fattore importante soprattutto per chi sta pianificando di vivere di rendita oppure ha fatto i conti con un certo livello di patrimonio finale.

Fattore fiscale tornato d’attualità con il rialzo dei rendimenti obbligazionari

Un fattore che oggi torna prepotentemente alla ribalta dopo anni di tassi a zero sul mondo obbligazionario che non fornivano nessun appeal alla classe di investimento legata al reddito fisso.

Quello che non tutti gli investitori sanno è che nello stesso mondo delle obbligazioni ci sono strumenti tassati al 12,5% e altri al 26%.

Infatti, nel caso di interessi e plusvalenze registrate sempre su titoli del reddito fisso, ma appartenenti a emittenti societarie (le obbligazioni corporate investment grade e high yield ad esempio), il prelievo fiscale più favorevole non esiste.

Spesso l’informazione alla quale molti investitori rivolgono le loro attenzioni, il cosiddetto rendimento a scadenza che troviamo nelle schede mensili dei fondi, diventa così fuorviante.

Non inesatto, ma il rendimento a scadenza pubblicato nelle schede è al lordo della tassazione fiscale; quello che interessa l’investitore è un rendimento al netto della tassazione fiscale. Perché è quello che entrerà realmente nelle sue tasche. E che nel caso delle obbligazioni corporate la tassazione è più che doppia rispetto ai titoli di Stato.

Quando acquistiamo fondi obbligazionari attratti da rendimenti  elevati, oppure strumenti come quelli che vanno sempre più di moda oggi nel mondo bancario (se non avete ancora sentito parlare dei fondi target date preparatevi per tempo), accertiamoci (oppure chiediamo a un consulente indipendente)  quanta parte di un certo fondo è soggetta a tassazione agevolata e quanto no.

Quello che sembra un vantaggio di rendimento importante si potrebbe trasformare in un vantaggio risicato. Lo abbiamo già visto con i conti depositi vincolati al 5% in questo articolo. E lo rivediamo tra poco.

Sorprese negative che non si potranno avere con gli ETF dove la trasparenza è massima.

Come scoprire la tassazione degli ETF obbligazionari

Non così semplice da ritrovare come per schede mensili e KID, ma ogni emittente di ETF mette a disposizione dell’utente sul proprio sito e per ogni prodotto, un documento dove vengono indicate le percentuali di titoli oggetto di tassazione agevolata al 12,5% e quelli al 26%.

Nell’immagine qui sotto presa dal sito di di Lyxor-Amundi vengono riportate le percentuali di titoli considerati white list e assimilati, quindi con proventi tassati al 12,5% (è la terza colonna a partire da sinistra).

Fonte: Amundi-Lyxor ETF

Come si vede dal primo ETF che investe in titoli di Stato europei indicizzati all’inflazione, siamo molto vicini al 100% del paniere a tassazione agevolata.

L’ETF azionario Lyxor Msci Emu ha invece una tassazione agevolata pari a 0% investendo esclusivamente in azioni.

Così come a 0% sta l’ETF che investe in Corporate Bond Euro.

Questi particolari apparentemente irrilevanti sono molto importanti oggi che i tassi di interesse sono saliti, con i BTP italiani che hanno rendimenti competitivi con quelli delle pari rischio (intesi come rating) emissioni societarie.

Ho così ripetuto un back test simile, questa volta su investimenti reali in ETF che investono in corporate bond ad alto rendimento europei (high yield) mettendoli a confronto con ETF su obbligazioni che investono esclusivamente in titoli di Stato.

Il vantaggio accumulato dagli investimenti nelle più speculative obbligazioni ad alto rendimento rispetto ai classici titoli di Stato, passa da 18 mila euro a poco più di 12 mila post tassazione. La proporzione del rendimento favorevole alle obbligazioni high yield scende da x3 a x2,6 volte. Qui non viene considerato il rischio, ovvero la volatilità, che renderebbe il vantaggio delle obbligazioni high yield ancora più sottile.

Esistono poi situazioni ibride che non arrivano al totale della tassazione fiscale in regime agevolato, ma nemmeno a zero.

Uno di questi casi è ad esempio quello delle obbligazioni emergenti i cui ETF mediamente girano su percentuali di tassazione agevolata per il 50%-60% del paniere titoli.

Messaggio finale: la fiscalità conta nel risultato finale

Il messaggio di fondo di questo articolo è che per ogni ETF obbligazionario è sempre buona norma informarsi su quella che è la reale tassazione applicata sui titoli sottostanti.

Un fattore, quello della tassazione, che per diversi motivi viene tenuto per ultimo nella pianificazione di un investimento e nel conteggio della sua redditività attesa.

Ad alcune obiettive difficoltà di rendicontazione ex ante con le quali deve fare i conti  il consulente, si somma un po’ di colpevole superficialità nell’analisi del prodotto impiegato per investire.

La fiscalità è invece un fattore determinante nel raggiungere “realmente” gli obiettivi disegnati sulla carta.

La selezione dei prodotti giusti, anche gli ETF, si rivela non così irrilevante e qualche piccolo sforzo di analisi aggiuntiva può portare a importanti benefici nel lungo periodo.

Come abbiamo visto con questi esempi, i rendimenti storici e quelli attesi delle varie asset class possono subire delle variazioni notevoli rispetto ai valori pubblicizzati dalle grandi case di investimento.

Variazioni che diventano fondamentali soprattutto per chi sta cercando di creare una rendita con il proprio capitale o comunque di far crescere ad un certo tasso composto di interesse i risparmi.

Al netto delle spese (e dei costi), i risultati delle tante simulazioni su indici che circolano in rete, e che confrontano azionario e obbligazionario, vanno sempre osservati con occhio critico.

Per l’investitore italiano, le differenze di rendimento tra le due asset class, azionario e obbligazionaria, possono essere decisamente meno penalizzanti di quello che mostrano i back test rendendo un pò più interessante una soluzione di allocazione bilanciata soprattutto in certi momenti della vita di investitore.

Buon investimento.

2 Commenti

  1. giuliano 10 Luglio 2023 at 06:41 - Reply

    Buongiorno, ottimo post!
    A puro titolo accademico, come si posiziona la nostra fiscalità rispetto agli altri paesi? Il nostro fisco è così “vampiro”?
    Grazie ancora per la Vostra preziosissima opera di divulgazione finanziaria!

    • Lorenzo Biagi 10 Luglio 2023 at 08:28 - Reply

      Grazie a te perché continui a seguirci e ad apprezzare i nostri articoli. In questo articolo https://fiscomania.com/capital-gain-in-europa/ trovi una panoramica completa della fiscalità sugli investimenti in Europa. A presto!

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