By |Categorie: Educazione finanziaria, Investimento|Pubblicato il: 31 Luglio, 2023|

Investire costa. Non esiste una forma di investimento gratuita e questa è una certezza che vale per istituzionali e per piccoli risparmiatori.

Anche gli ETF, considerati gli strumenti meno onerosi in assoluto,  hanno dei costi che vanno dalle commissioni di gestione ai costi di negoziazione applicati da un intermediario, fino alle voci di costo non rilevabili direttamente da KID e che sicuramente non rendono lo strumento cost free.

Abbiamo dedicato una serie di 15 articoli educativi dedicati al tema degli ETF e quello del costo è stato affrontato in diverse occasioni proprio perchè non conosciuto fino in fondo.

Negli ultimi anni l’accesso ai prodotti finanziari non è stato solo più semplice e ampio in termini di offerta, ma anche più conveniente.

Proprio l’avvento degli ETF ha esercitato una pressione notevole al ribasso anche sui costi dei fondi a gestione attiva.

Il compianto fondatore di Vanguard, il celebre John Bogle, ha definito i costi che vengono sostenuti durante l’investimento come dei “mangiatori di rendimento” in grado di creare  la cosiddetta “Tiranny of compounding costs“.

Nel lungo periodo sappiamo molto bene che i costi sono un detrattore di rendimento e che un oculato e attento contenimento degli stessi è in grado di generare valore, anche se dal mercato non arrivano grandi soddisfazioni. Nell’articolo La capitalizzazione composta dei costi il tema è stato spiegato con esempi concreti.

La capitalizzazione composta che nessuno vi spiega

Nel libro “Come investire il mio primo euro” ho dedicato un capitolo intero per spiegare l’importanza dello prestare attenzione a una delle poche voci determinanti del rendimento finale che possiamo controllare personalmente.

Nell’articolo di oggi ho deciso di riportare un estratto dell’esempio riportato nel libro a beneficio di tutti i lettori di investireconbuonsenso.com.

Partendo da una dotazione iniziale di 1.200€ (chiamiamolo bonus bebè), ipotizziamo di avviare un piano di risparmio da 1.200€/anno (o 100 €/mese) al momento della nascita di un figlio. Ipotizziamo anche di ottenere un rendimento medio annuo composto sugli investimenti (CAGR) del 5%. A questo punto affianchiamo tre tipologie di investimento.

La prima ha un costo annuo dello 0,50%, la seconda del 1,5%, la terza del 3%. La tabella mostra cosa succede dopo 20 anni.

Commettere l’errore di non dare il giusto peso ai costi dei prodotti finanziari utilizzati nella fase iniziale dell’investimento significa, dopo 20 anni, “accettare” un montante finale più basso di oltre 10 mila euro rispetto all’investimento con costo annuo di 0,5%.

Non sono spiccioli, soprattutto se pensiamo a cosa potremmo fare  con 10 mila euro fra 20 anni.

Nel libro ho cercato di dimostrare mixando capitale e rendimenti più elevati. L’esito è scontato. Questa variabile diventa determinante nell’esito dell’investimento.

Ipotizzando ad esempio un rendimento annuo del 7% con investimenti mensili in un Piano di Accumulo da 200 euro al mese, dopo 20 anni ci ritroveremmo con oltre 28 mila euro di differenza tra l’investimento che costa il 3% e quello che costa lo 0,5%.

Non esistono consulenze finanziarie (vere) gratis

Non vivo sulla Luna e sono perfettamente d’accordo con chi sostiene che nulla deve essere gratis quando si offre un servizio di qualità. Vale naturalmente anche per la consulenza finanziaria.

Avere accesso a professionisti in grado di trasmettere concetti di base sull’educazione finanziaria o di spiegare ai propri clienti la complessità di certi prodotti, o ancora di creare sulla base delle caratteristiche di ciascuno dei progetti di investimento sostenibili, ha e deve avere un costo per garantire al ricevente il servizio standard di qualità e garanzie di un certo livello.

Un video su YouTube ascoltando passivamente cosa fanno gli altri, oppure qualche documento gratuito scaricato in rete senza avere una adeguata base formativa alle spalle,  alla lunga non è efficace; l’esperienza me lo ha insegnato nel tempo. Tra un paio di anni un altro influencer ci convincerà che la strategia è sbagliata e ribalteremo di nuovo tutto. Sbagliando per l’ennesima volta.

Non vedo intorno a me liberi professionisti come medici, avvocati o notai che lavorano gratis. Fanno attività di volontariato, ma non passano il loro tempo a studiare e aggiornarsi per erogare gratis le prestazioni.

E naturalmente nemmeno le banche, i consulenti finanziari che per le banche lavorano (ex promotori) e i consulenti indipendenti (autonomi) possono fornire un servizio lavorando senza chiedere nulla in cambio. E non credo nemmeno sia giusto visto che una qualche forma di supporto la danno e sono vigilati ogni giorno dalle autorità proprio per garantire ai clienti degli standard adeguati di sicurezza e qualità. Una qualità che naturalmente non sarà uguale per tutti e che ogni risparmiatore valuterà  a posteriori decidendo di rinnovare o meno il rapporto con il consulente.

Stesso discorso vale per quegli influencer della rete sui quali l’ESMA ha di recente acceso un faro visto che il confine tra raccomandazione e non raccomandazione di investimento si sta facendo sempre più sottile e mettendo il comportamento e il grado di influenza sui risparmiatori al centro dell’attenzione.

I protagonisti di questa professione mediatica spesso hanno conflitti di interesse con qualche sponsor nel retrobottega che sostiene video e articoli vari. Quando ricorrono certe condizioni è giusto che le stesse norme di controllo applicate agli intermediari finanziari vengano rispettate anche dagli influencer “finanziari” che, altrimenti, possono raccontare quello che vogliono e guadagnare, senza esserne responsabili delle loro azioni.

Esiste la possibilità di limitare o addirittura eliminare i costi di un servizio?

Sì, facendo da soli, studiando, investendo del tempo e dei soldi nella lettura di libri, magari anche frequentando dei corsi.

Attenzione però anche in questo caso ai costi e al rapporto costo-opportunità.

Pagare 1.000 euro un corso di finanza con un patrimonio disponibile di 20 mila euro significa pagare una commissione del 5% pronti via.

E il risultato non è detto che sia garantito.

Possiamo considerarlo un investimento è vero. Ma la stessa cosa dovrebbe valere per una consulenza.

Se non abbiamo il tempo e la voglia di seguire costosi corsi, se non abbiamo la motivazione di studiare in autonomia, non ci potremo poi lamentare che le cose non stanno andando per il verso giusto con i nostri investimenti. Il consulente si sostituisce in un certo senso a noi, cerca di fare da allenatore, ci frena nei momenti di entusiasmo, ci risolleva in quelli di depressione. Ottimizzando il processo, ma naturalmente chiedendo un prezzo per la sua prestazione.

Tutto questo deve però avere un costo equo. E il primo benchmark da non oltrepassare sono i costi dei prodotti.

A questo si potrà aggiungere un costo della consulenza.

I prodotti nel 2023 non possono costare più di un ETF. Quindi non più dello 0,3%/0,4% al massimo.

Tutto quello che costa di più non è giustificato. Primo perché i prodotti a gestione attiva più costosi è ampiamente dimostrato che nel lungo periodo quasi mai battono gli indici di mercato (quindi gli ETF).

Secondo perché un piccolo investitore mai entrerà direttamente in contatto con il gestore che sta investendo i suoi soldi. Direi che è abbastanza improbabile riuscire a sollevare il telefono e parlare con un super top gestore basato a Londra e New York.

Terzo perché per il prezzo pagato non otterremo nessun beneficio aggiuntivo non solo di rendimento, ma anche di diversificazione e di rischio.

Qual è il giusto costo di un servizio finanziario?

Stabilire quale è il giusto costo di un servizio finanziario non è semplice, ma abbiamo cercato di capirlo nell’articolo “Costi dei prodotti finanziari, la guida definitiva”.

Ma è sicuramente semplice stabilire quale non è il giusto costo di un prodotto finanziario.

Morningstar circa un anno fa ha pubblicato il report “Global Investor Experience Study:Fees and Expenses“. Rapporto periodico che la società americana distribuisce per fare il punto sul mondo dei fondi di investimento e i loro costi a livello globale.

Rapporto che è passato inosservato in Italia, anche da parte di molti presunti educatori finanziari che tendono  spesso a evitare le domande sui costi.

Il motivo di questo speciale “andiamo oltre” di una parte della finanza italiana in evidente conflitto di interesse sta tutto in questo grafico.

 

Fonte: https://www.morningstar.com/lp/global-fund-investor-experience

Purtroppo non è un questo grafico che celebra i tassi di crescita economia dell’Italia e nemmeno la dinamica demografica.

La figura mostra quanto costano ai clienti dei singoli paesi a livello mondiale mediamente i fondi azionari in classe non istituzionale.

Considerando che la statistica non comprende fondi chiusi e hedge fund, e che le commissioni di performance non sono contemplate, la statistica rappresenta una stima per difetto.

Non cambia molto per il comparto obbligazionario, con i fondi collocati in Italia che sono i secondi più cari al mondo solo perché sorpassati da Taiwan. Non una sorpresa per il nostro blog.

Vi starete chiedendo perché in Olanda, Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, che pure sono in Europa, si paga decisamente meno?

La risposta la fornisce proprio Morningstar:

In markets where banks dominate fund distribution, there is no sign that market forces alone will
drive down asset-weighted median expense ratios for retail investors. This is particularly evident
in markets like Italy, Taiwan, Hong Kong…(fonte Morningstar)

Perché l’Italia è il paese più caro al mondo nei fondi di investimento

La concorrenza in Italia non funziona e l’ingranaggio fatica a raffreddare la temperatura per la presenza di troppi intermediari.

Pagare il 2,13% mediamente per un fondo azionario significa sborsare 10 volte il costo di un ETF azionario globale che fa la stessa cosa, in alcuni casi anche con risultati migliori.

Significa pagare 20 volte il costo di un ETF sulla borsa americana, oltretutto liberamente scambiabile sul mercato quando si vuole.

In alcuni casi addirittura si è costretti a retrocedere una parte della performance al gestore.

Chi  pagherebbe un pilota di aereo per andare da A a B con la clausola che, se  lo stesso pilota ci porterà a destinazione  nei tempi e modi previsti, dovremo sborsare una quota parte aggiuntiva di costi? Perché questo sono le commissioni di performance. Un rendimento di mercato che ci appartiene, ma che invece dovremo restituire al gestore solo perché ha fatto  il suo lavoro. Una mancia, ma non volontaria.

Fortunatamente il modo di uscire da questo circolo vizioso c’è. Basta comprare prodotti che costano dalle 10 alle 20 volte in meno.

L’argomento però non può finire qui.

Se acquistiamo la miglior bicicletta da strada usata dai professionisti (potrei suggerire una Pinarello Dogma ad esempio), ma poi non sappiamo andare in bici o abbiamo mal di schiena se stiamo troppo sdraiati sul manubrio, che ce ne facciamo del top di gamma?

Il consulente serve proprio a questo. A sistemare la nostra posizione in sella, o nei casi estremi insegnarci ad andare in bici. Non strapagando la bicicletta perché, visto il nostro livello di competenze e i nostri obiettivi, non andremo comunque più forte rispetto a chi pedalerà su una bici media di mercato.

E infatti il primo intervento che farà un consulente autonomo sarà quello di prendere la  bici super costosa, comprendere se fa per voi, rivenderla sul mercato e con il ricavato acquistare strumenti efficienti ed efficaci a basso costo rimettendo sul vostro conto corrente un buon 30% da qui ai prossimi anni del canone mensile che avreste pagato a banca e gestore.

Mi stupisco come nel 2023 ancora si possa pagare oltre il 2% per un fondo di investimento.

Ma poi mi rendo conto che va così perché la maggior parte dei contenuti educativi privati (prevalentemente di origine bancaria) tendono, per convenienza e conflitto di interesse, ad omettere questo piccolo particolare relativo ai costi.

Uno scambio vantaggioso

Se oggi disponiamo di 100 mila euro di capitale e pago il 2,13% di commissione, ogni anno lasciamo a banca e gestore 2.130 euro.

Ma ipotizziamo di incontrare per strada qualcuno che ci propone uno scambio.

A parità di risultato finale preferiremmo pagare sicuri 2.130 euro ogni anno, oppure 200 euro (commissione ETF 0,2%) più 1300 euro (esempio di commissione di consulenza indipendente). Credo che di fronte a un risparmio di oltre 600 euro l’anno nessuno avrebbe dubbi su cosa fare.

L’evidenza che al momento l’investitore italiano pone poca attenzione alla cosa sta proprio nel grafico sopra riportato. Una pressione dei prezzi al ribasso ancora insufficiente e assolutamente non in linea con la media europea.

La conclusione è ovvia. Qualsiasi cosa si decide di acquistare, dal cibo alle visite mediche, dall’auto nuova alla parcella del commercialista, è necessario un giusto trade off tra qualità del servizio e prezzo pagato. La stessa cosa deve accadere nel mondo degli investimenti.

Non necessariamente il costo più basso è la migliore scelta.

Il mondo degli investimenti è però particolare. A costi alti dei prodotti non corrisponde alta qualità o risultati superiori alla media.

Di certo costi troppo elevati senza avere nessun valore aggiunto tangibile in cambio non rappresentano una scelta ottimale per la salute del nostro piano di investimento. L’educazione finanziaria indipendente serve anche a scoprire e rimediare a queste inefficienze.

Buon investimento.

2 Commenti

  1. Roberto 13 Agosto 2023 at 12:37 - Reply

    Bell’articolo come sempre. Sarebbe utile estendere l’analisi dei costi anche alle rendite vitalizie. Mi riferisco alla conversione in rendita di fondi pensione una volta terminata la fase di accumulo. Non vedo molta trasparenza e, se non ho inteso male, i costi sono intorno al 1,5% senza alcuna chiarezza su come vengono investiti e per giunta senza la stessa libertà di scelta della fase accumulo.

    • Lorenzo Biagi 14 Agosto 2023 at 07:35 - Reply

      Grazie Roberto! La tua osservazione è corretta e la rendita vitalizia sarebbe uno strumento molto interessante per mettere da parte il rischio di “sopravvivenza”. Fino a poco più di 1 anno fa non aveva senso prenderlo in considerazione perché con i tassi a zero i costi rendevano antieconomica la scelta. Oggi va un pò meglio, ma quelle commissioni annue a cui fai tu riferimento sono troppo elevate e spesso investite su gestioni separate, ovvero prodotti con rendimenti che rimarranno molto bassi ancora a lungo. Insomma, in assenza di rendita vitalizia priva di meccanismi indicizzati all’inflazione ancora non ci siamo.
      Poi tutte le opzioni esistenti, vitalizia, certa, reversibile, con assicurazione, hanno ovviamente dei costi man mano che aumentano le garanzie. Ogni scelta anche qui va ben ponderata. Al momento c’è poca concorrenza da parte degli operatori in questo mondo, confido che con l’approssimarsi a maturazione di molti fondi pensione ci sia uno sviluppo positivo e contestuale ribasso dei costi. Rimane comunque un’opzione interessante per chi non vuole avere problemi nel seguire da vicino il capitale eliminando ogni incertezza sul futuro.

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