Quando il raggiungimento di un obiettivo finanziario si avvicina, il buonsenso ci impone qualche ragionamento ulteriore che può eventualmente prendere in considerazione anche qualche misura precauzionale a difesa del prezioso patrimonio che abbiamo costruito faticosamente negli anni.
Non necessariamente precauzione significa ridurre il peso degli investimenti più volatili. Solitamente quelli azionari.
Paradossalmente nel caso in cui l’obiettivo di un investitore è quello di lasciare in eredità del denaro a figli, nipoti o altro, l’aumento (e non la diminuzione) dell’azionario in portafoglio non sarebbe una mossa in linea di massima criticabile e irrazionale.
Altri obiettivi verso i quali abbiamo attivato all’inizio del percorso un processo di investimento particolarmente spinto, con classi di investimento volatili e a maggior rendimento atteso, richiedono invece delle contromisure per non veder naufragare i sogni a pochi metri dal traguardo.
Pensiamo al classico piano di studi per i figli finanziato con un piano di accumulo azionario della durata anche di 18 anni e che, poche settimane prima della partenza dell’anno accademico, subisce una sforbiciata di valore del 30% o anche più a causa di un andamento avverso dei mercati finanziari.
Oppure l’imminente raggiungimento del tanto sognato giorno del ritiro dal lavoro funestato da una serie di profonde correzioni di borsa (ma anche di perdite obbligazionarie come ha insegnato il 2022) che minano alla base tutto il piano di decumulo accuratamente preparato.
Ma i rischi non riguardano solo il “prima”, ma anche il dopo.
Quando l’obiettivo sembra già essere stato messo in cassaforte.
L’importanza di gestire bene il raggiungimento di un obiettivo
L’ingordigia è una brutta bestia nel mondo finanziario, ma anche la scarsa pianificazione.
Non avere previsto una sequenza di rendimenti negativa in anticipo rischia ad esempio di essere fonte di delusione o, peggio, di distruzione di un sogno.
Non mi ripeterò sull’importanza della sequenza dei rendimenti soprattutto nella fase iniziale del processo di decumulo. Vi consiglio solo la rilettura di questo articolo.
Esistono diverse tecniche per fronteggiare questi rischi e nell’articolo di oggi voglio parlare di una strategia un po’ particolare presentata da Michael Kitces qualche anno fa. La strategia obbligazionaria della “tenda”.
Come funziona la strategia della tenda
La strategia della tenda trova la sua applicazione soprattutto nel periodo precedente e successivo il ritiro dal mondo del lavoro.
Ipotizzando per semplicità che il ritiro avvenga a 65 anni, la strategia prevede un taglio della componente azionaria del portafoglio tra i 55 e i 65 anni, e un successivo ripristino della quota originaria di azioni tra i 65 e i 75 anni.
Oggi che i rendimenti delle obbligazioni sono tornati a livelli “praticabili” da ogni investitore può valere la pena rispolverare questa tecnica e comprendere se ha senso attuarla all’interno del nostro piano.
La tenda in parte ricalca quelle che sono le precauzioni adottate dalla strategia di investimento cosiddetti lifecycle, ovvero quella tipologia di investimenti che riducono progressivamente il rischio con il passare degli anni per ammorbidire gli effetti negativi della volatilità.
Approccio corretto, anche perché negli anni che precedono il ritiro dal mondo del lavoro la crescita (o la decrescita) del capitale sarà prevalentemente influenzata dai movimenti di mercato e non dal tasso di risparmio, ormai irrilevante.
Ciò che diventa evidente nel momento di massimo valore del patrimonio finanziario è quello che gli americani chiamano “portolio size effect”.
Tanto bello quando le cose vanno bene e l’interesse composto fa miracoli.
Tanto brutto quando per uno o più anni i ritorni sui mercati sono negativi e la perdita (anche psicologicamente) fa molto più male che il guadagno.
Proteggere il patrimonio nei primi anni di pensione è fondamentale
La particolarità della tecnica della tenda è che le classi più volatili di portafoglio tornano ad aumentare di peso a partire dal giorno dopo il raggiungimento dell’obiettivo.
Il motivo? I primi anni post pensione o ritiro sono quelli più vulnerabili per la sostenibilità di una strategia di decumulo.
Man mano che si avanza negli anni di vita, il rischio di sopravvivere al proprio capitale si riduce e riportare un po’ di azioni in portafoglio a maggiore redditività non è una cattiva idea.
Quando il portafoglio di investimento raggiunge il suo volume più consistente è anche il momento del maggior rischio catastrofe sui mercati.
La soluzione più ovvia a questo problema è ridurre il rischio quando il portafoglio è al suo massimo valore per poi ri-aumentare il rischio quando il valore del portafoglio si contrae per effetto del decumulo progressivo.
La strategia spiegata con un esempio pratico
Ho preso in prestito il grafico che lo stesso Kitces ha presentato nell’articolo originario del 2016.
Pur non essendo decisivo per le sorti future di un cammino finanziario, da giovani a certe condizioni ha una sua logica partire con il 100% di peso azionario, magari con un bel piano di accumulo del capitale (PAC).
Ma secondo uno dei più celebri advisor americani, quando l’obiettivo è quello della pensione ha senso aumentare progressivamente il peso delle obbligazioni in portafoglio all’avvicinarsi dell’età del ritiro dal mondo del lavoro.
Nell’esempio grafico a 55 anni l’asset allocation è 60% azioni – 40% obbligazioni. Un classico bilanciato.
Stiamo entrando nella zona temporale più rischiosa che precede la pensione. Quella in cui il volume di capitale è alto e in crescita e il numero di anni per recuperare eventuali pesanti perdite si riduce.
Attraverso l’acquisto di strumenti a bassa volatilità (dopo vedremo come e con cosa), il futuro pensionato spenderà questo vantaggio nella decade successiva, quella tra i 65 e i 75 anni periodo dove la sequenza dei rendimenti fa più male.
Alcune considerazioni sono d’obbligo a questo punto.
Questa tecnica è assolutamente personalizzabile e dipende da tanti fattori.
Uno di questi è la quantità di pensione pubblica (e privata) che riscuoteremo a partire da una certa data in avanti.
Queste rendite vitalizie a basso costo possiamo considerarle alla pari di una quota parte di allocazione obbligazionaria in grado di ridurre la volatilità del patrimonio complessivo.
Altro fattore da considerare è il tempo che abbiamo di fronte a noi nel momento del ritiro dal lavoro.
Se siamo degli “early retirement” probabilmente potremo sopportare un peso azionario (e quindi una volatilità) superiore perché avremo più tempo a disposizione per recuperare fasi negative dei mercati. Dobbiamo aver fatto bene i calcoli soprattutto di quel capitale di emergenza che potrà supportare il tenore di vita davanti ai momenti di mercato complessi nei quali non sarà consigliabile attingere dalla componente più rischiosa del portafoglio.
Altri fattori non finanziari come future eredità oppure immobili che potrebbero essere venduti per compensare eventuali difficoltà di prelievo del capitale nei primi anni del ritiro, sono determinanti nel definire il punto più alto della tenda, ovvero la percentuale di obbligazioni sull’intero patrimonio più elevata della nostra storia finanziaria. Se ovviamente abbiamo seguito questa strategia.
Ma andiamo nel pratico. A 55 anni decidiamo di sposare la strategia della tenda. Abbiamo investito con un classico 60% azioni e 40% obbligazioni. Nei prossimi 10 anni il piano prevede di arrivare ad un 30% di azioni e 70% di obbligazioni per ridurre la volatilità del patrimonio investito. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo ridurre di 3 punti percentuali all’anno le azioni in portafoglio.
Ipotizzando per semplicità un investimento azionario rappresentato da un solo ETF globale, venderemo il 3% all’anno di questo ETF e compreremo un’obbligazione.
Potremmo lavorare con gli ETF per rimpolpare la quota di obbligazioni, ma il 2022 insegna che esistono rischi consistenti di oscillazione anche con questi strumenti, rendendoli poco pratici soprattutto quando ci sono scadenze stringenti.
La tecnica della scala, che come sapete utilizzo da tempo, può essere utile allo scopo.
Il recente lancio degli iBonds ETF arricchisce la cassetta degli attrezzi di strumenti a basso costo per gestire al meglio questa fase con la tecnica della scala.
Per semplicità ipotizziamo di acquistare un titolo di stato tripla A oppure un’emissione sovranazionale sempre AAA in euro con scadenza 10 anni. Potremo anche mixare le emissioni con qualche BTP italiano oppure OAT francese.
Quando arriveremo all’età di 65 anni, la prima obbligazione acquistata rimborserà il capitale e contemporaneamente il rischio di perdita di denaro su questa quota parte di capitale sarà stato azzerato nella decade precedente la pensione.
L’anno successivo, quello dei 56 anni, con il ricavato della vendita del 3% di azioni compreremo un altro titolo simile sempre scadenza 10 anni che andrà a sommarsi a quello acquistato l’anno precedente (che ridurrà la sua durata residua a 9 anni) e a tutte le obbligazioni (il 40%) già presenti in portafoglio.
A quel punto il peso dell’obbligazionario verrà fissato, al lordo di eventuali ribilanciamenti, al 46%. Andremo avanti così ad acquistare titoli con scadenza a 10 anni per ogni anno successivo.
A partire dal 65esimo anno di età il peso dell’obbligazionario sarà pari al 70% e la prima obbligazione decennale acquistata a 55 anni arriverà a scadenza.
Per i 10 anni successivi, quello dai 65 ai 75 anni, la nostra missione sarà fronteggiare il rischio di una sequenza dei rendimenti avversa partendo da un peso azionario del 30%. Non avremo grandi problemi.
E così, per ogni anno successivo al 65esimo, arriveranno a scadenza le obbligazioni decennali comprate prima della pensione. Altro capitale garantito che rientra sicuro al porto.
Ad ogni scadenza, quel 3% di obbligazioni scadute verrà impiegato per ri-comprare un ETF azionario globale.
E ripeteremo l’esercizio fino ai 75 anni di età quando le obbligazioni saranno tornate al 40% di peso e l’azionario al 60%.
Il rischio della sequenza dei rendimenti sarà alle spalle e la strategia della tenda potrà essere messa definitivamente in archivio proseguendo in un percorso decisamente meno denso di pericoli, soprattutto per quello che riguarda il rischio di sopravvivere al proprio capitale in età avanzata.
La strategia della tenda ha dei contro. Uno di questi è il sacrificio di una parte di rendimento negli anni che precedono la pensione.
Questo può rallentare la crescita del patrimonio, ma il “costo” ha un lato della medaglia molto più nobile.
Non sapendo che tipo di rendimenti ci aspettano in quei 10 anni, ma soprattutto nei 10 anni successivi quando la sequenza degli stessi può fare danni enormi, acquistare asset finanziari a bassa volatilità aumentando le probabilità di centrare l’obiettivo finale con ragionevole certezza può essere un fattore che fa bene non solo all’emotività, ma anche al patrimonio.
Come sempre la scelta e l’opportunità di farlo è personale, ma soprattutto il consiglio è di studiare questa strategia assieme ad un professionista che sia in grado di calibrare i giusti ingredienti all’interno di una processo di pianificazione ben definito.
Buon investimento.
Molto interessante. Ma evidentemente mi sfugge un aspetto: al 65° anno quando, dall’esempio, inizierà il periodo di pensionamento e quindi di decumulo per integrare la pensione pubblica, da quale componente
( Azioni/obbligazioni) si effettuerà il prelevamento?
Grazie
Raggiunto il picco della massima esposizione obbligazionaria a 65 anni si comincia a ridurre il peso % dei bond andando sull’azionario sempre considerando l’effettivo valore delle asset class sulla base delle valutazioni di mercato del momento.