Investire è un processo non replicabile e non standardizzabile. Quindi è un processo estremamente personale.
Ogni investitore ha i propri metodi per selezionare, gestire e archiviare informazioni e prodotti finanziari destinati (si spera) a rendere reale un obiettivo.
Le pagine di un blog dedicato alla finanza personale e agli investimenti come questo, credo che debbano anche fornire informazioni sulle esperienze degli autori nell’affrontare queste materie apparentemente complesse, ma che nel tempo ho sempre cercato di semplificare.
Perché è importante fare esperienze “finanziarie”
Tra le regole che mi sono dato ormai da anni durante la gestione dei miei investimenti personali, c’ è quella di verificare gli effetti positivi o negativi di certe scelte finanziarie.
Come i lettori storici di questo blog sanno molto bene, mi piace sperimentare direttamente sul campo nuove forme di investimento (criptovalute, crowdfunding, singole obbligazioni, polizze assicurative, oro, ETC, ETF tematici e altro) con una quota di capitale modesta, ma sufficiente per avere dei riscontri.
Riscontri che mi permetteranno, non tanto di avere vantaggi epocali nella crescita del patrimonio finanziario, ma risposte concrete da fornire alle persone che costantemente chiedono pareri su questo o quel tipo di investimento. Ovviamente cerco sempre di fare scelte redditizie, ma l’esito di questi chiamiamoli test di laboratorio creano comunque valore aggiunto alla mia professione di blogger e consulente finanziario indipendente.
Rimanere aggiornato per motivi professionali è importante, ma la passione che mi spinge a produrre contenuti editoriali da anni è anche la stessa che mi porta a ricercare punti di forza, e soprattutto di debolezza, di veicoli che periodicamente l’industria finanziaria sforna a seconda delle condizioni di mercato più favorevoli per la loro commercializzazione.
L’ultimo in ordine di apparizione sembra essere quello dei cosiddetti target data fund nel tentativo (inutile) di contrastare l’interessante rendimento offerto oggi dai titoli di Stato italiani o comunque dai fondi monetari.
I target data fund, altro non sono che fondi che “scimmiottano” quelli che sono i “veri” fondi con target di scadenza che in America e Gran Bretagna accompagnano i vari cicli di vita degli investitori. Scadenze che si misurano in decadi e non in pochi anni come nella versione in salsa tutta italiana che, inserendo un numero a forma di anno, psicologicamente fa credere all’investitore che a quella scadenza avrà integralmente il recupero dei propri soldi.
Forse sì, ma forse anche no. L’unica certezza sono i costi che inevitabilmente allontaneranno sempre più dal reale obiettivo di conservazione chi sottoscrive questi prodotti. Mesi contati comunque per questi prodotti dopo che i gestori di ETF (come iShares) hanno già cominciato a quotare sul mercato italiano i cosiddetti iBonds, ovvero ETF obbligazionari con una data di scadenza precisa che elimina buona parte delle inefficienze degli ETF a duration costante. Sentiremo molto parlare degli iBonds nei prossimi mesi.
Il primo maggio 2023 è stata però una giornata molto particolare per una delle strategie che proprio 10 anni fa ho fatto partire per integrare, migliorare e rendere più efficienti i miei investimenti obbligazionari.
La strategia della scala con le obbligazioni
Quella tecnica della scala di cui ho parlato in questo articolo e che sta riscuotendo un crescente interesse in clienti (reali o potenziali) interessati a gestire la componente più conservativa del patrimonio dopo qualche cocente delusione di troppo arrivata da fondi e ETF obbligazionari.
La conoscenza superficiale dello strumento ETF obbligazionario e il non sempre efficace utilizzo durante diverse fasi di vita di un investitore, hanno creato i presupposti per un pò di smarrimento. Comprensibile, al quale abbiamo cercato di porre rimedio con due articoli dedicati al tema pro e contro degli ETF obbligazionari.
Ma perché ho citato il primo maggio 2023 come data importante per il sottoscritto? Perché quel giorno è arrivato a scadenza un titolo di Stato italiano che, esattamente 10 anni fa, utilizzai come primo tassello di una strategia di “laddering” che oggi ha incontrato il suo primo crocevia. La scadenza appunto del BTP 4,5% 05.2023 acquistato nel marzo del 2013 pochi giorni dopo l’emissione.
Il 2013 era l’anno in cui Cipro era sull’orlo del fallimento e per le banche d’affari, le agenzie di rating e i media, il debito italiano era pericoloso, probabilmente da evitare.
In quel momento acquistai per importi modesti anche altre obbligazioni con scadenze più lunghe che progressivamente arriveranno a scadenza nel 2024, 2025, 2026 e così via. Obbligazioni europee e non solo italiane, per chi è già pronto ad attaccarmi come incoerente rispetto a quello che da anni scrivo su queste pagine circa home bias e diversificazione.
Ricordo a tal proposito che circa il 20% degli indici che investono in obbligazioni europee sono costituiti da bond italiani e che quasi il 50% delle gestioni separate in commercio è popolato da titoli domestici. Con esiti non sempre felici (vedi il caso Eurovita) e non per colpa dei BTP.
Ovviamente negli anni seguenti del tasso zero o sottozero, ho aggiunto poche obbligazioni alla strategia, questo a causa della politica monetaria della BCE che di fatto non rendeva redditizia nessuna forma di investimento di questo tipo.
Non ha senso acquistare un asset finanziario quando si rivela antieconomico in partenza e il bello di una strategia automatica gestita da un umano è proprio cambiare rotta e prendere decisioni coerenti quando le condizioni di partenza non sono in linea con gli obiettivi. Se la volete chiamare gestione attiva fate pure, ma ogni scelta di asset allocation è una gestione attiva. Quello che conta è farla con i prodotti meno costosi in assoluto presenti sul mercato, possibilmente con margini di redditività compatibili e adeguati al nostro personale profilo di rischio.
Grazie ai recenti aumenti dei rendimenti obbligazionari questa strategia è però ripartita e la prima scadenza è arrivata in un momento interessante visto che il rinnovo è stato effettuato quasi alle stesse condizioni di rendimento di 10 anni fa.
Cosa è successo in 10 anni
Quello che invece reputo più interessante per chi legge questo articolo è capire in quali condizioni è nata questa strategia, quali condizioni offre oggi il mercato, fare un confronto con l’andamento delle obbligazioni globali a cambio coperto e quanto è stato ripagato in termini di premio di rendimento chi ha preferito ETF azionari oppure obbligazionari.
E come spesso accade quando si fanno analisi di così ampio respiro temporale, le risposte sono per alcuni versi sorprendenti, per altri in linea con le attese.
A marzo 2013 un titolo di stato tedesco offriva agli investitori un rendimento del 1,5% a scadenza, mentre un BTP italiano il 4,5%. Questo significa che acquistando e non facendo nulla ogni anno il patrimonio aumentava del 1,5% oppure del 4,5%.
Aveva senso investire in Bund tedeschi a quel rendimento così modesto?
Gli anni successivi hanno dimostrato di sì per quasi il 90% del tempo. Nel 2022 non è andata così, ma la strategia di laddering si rinnova continuamente riducendo il rischio di tasso con il passare degli anni.
Chi avesse comprato un Bund scadenza, ad esempio, 2023, nel pieno della tempesta che ha sconvolto nel 2022 il mondo obbligazionario, avrebbe dormito sonni tranquilli. E dopo 10 anni il rendimento nominale annuo netto (anche di imposta di bollo) è risultato per un bond holder di obbligazioni tedesche di poco superiore al 1%.
Visto che l’inflazione media italiana nel periodo è stata del 1,8% ogni anno, la perdita di potere d’acquisto a spanne sarebbe stata quantificabile in circa l’8%.
Un costo accettabile che ha dovuto sostenere chi cercava l’assoluta garanzia di rimborso del capitale nominale. Pagando un premio al mercato per ottenere in cambio questa sicurezza.
L’esperienza può servire a chi oggi si chiede se ha senso acquistare un titolo di stato tedesco che rende il 2,5% lordo ogni anno per i prossimi 10, oppure un sovranazionale (tipo BEI) che offre circa il 3% annuo. Se vogliamo assicurare il capitale, confidando in uno scenario ottimistico di mantenimento del potere d’acquisto grazie ad un ritorno dell’inflazione tra il 2% e il 3%, può avere senso proseguire la strategia della scala anche con questi strumenti.
Diversa l’esperienza che ha vissuto il BTP scaduto a maggio. Al netto dell’inflazione il rendimento reale è stato superiore al 2% annuo; non male per un investimento obbligazionario che ha però avuto come contropartita un rischio più alto.
Rischio di essere protagonisti involontari di una ristrutturazione o un salvataggio del debito italiano e che avrebbe rovinato una parte dei miei piani. Un rischio che nel 2013 era quantificato in 300 punti base di spread (la differenza di rendimento tra titoli di stato italiani e tedeschi a 10 anni).
Quello era il premio offerto a chi fosse stato disposto a tenere nel proprio dossier titoli per una decade un titolo di stato italiano. L’ho fatto e ho incassato.
Ogni investitore potrà giudicare se questi premi al rischio sono sufficienti per giustificare e stimolare certi acquisti. Lo stesso vale per le prospettive di maggiore rendimento che offrono le azioni rispetto alle obbligazioni (equity risk premium) e che ci spingono ad acquistare titoli decisamente più movimentati nella formazione dei rendimenti rispetto ad altri più tranquilli.
La cosa bella è che ognuno di noi fa valutazioni differenti. Per alcuni il 3% di premio è troppo poco, per altri è una grande occasione. Per questo il mercato è in larga parte del tempo efficiente quando le quotazioni avvengono liberamente su mercati regolamentati.
Oggi la temperatura che misura il rischio Italia è più bassa di oltre un terzo rispetto al 2013. Quantificabile in meno di 180 punti (1,8%), il vantaggio di possedere un titolo di stato italiano è nominalmente lo stesso (i rendimenti decennali sono sotto quel 4,5%), ma in termini relativi rispetto al cosiddetto titoli privo di rischio, paga meno.
E per questo è sempre consigliato “diversificare” con altre obbligazioni percepite dal mercato come più sicure e che fortunatamente oggi offrono rendimenti nominali più elevati rispetto al 2013 grazie al persistere del rialzo dei tassi da parte della BCE.
Ma veniamo al rendiconto “decennale” che ho deciso di fare proprio a quella data di scadenza del 1 maggio 2023. Nell’analisi ho inserito quegli strumenti obbligazionari gestiti passivamente (ETF) molto dibattuti negli ultimi tempi.
Titoli di Stato globali a cambio coperto, solo europei, e solo italiani. Questi ETF hanno avuto comportamenti diversi, ma non così lontani da quelle che erano le aspettative della vigilia tenendo conto dello shock inflazionistico che abbiamo vissuto.
Osservando la performance totali lorde nei 10 anni, ci accorgiamo che il BTP scaduto a maggio 2023 ha ottenuto un rendimento superiore a tutti gli ETF obbligazionari con una volatilità simile o in alcuni casi (come per l’ETF che investe proprio in titoli di stato italiani) più bassa.

Dati al 1.5.2023 – Rielaborazioni dell’autore
Tutto abbastanza logico visto che la duration di un singolo titolo diminuisce con il passare del tempo a fronte invece di una duration costante degli ETF (fatta eccezione per gli ancora acerbi iBonds) che, nel corso degli anni, hanno continuato a comprare nuovi titoli a rendimenti più bassi, fatta eccezione per l’ultimo anno.
Non ha molto senso confrontare singoli bond con ETF
Uno dei motivi per cui non ha senso confrontare strategie su singole obbligazioni con ETF è anche il diverso terreno su cui si gioca.
Gli ETF obbligazionari che investono in titoli di Stato europei e globali non sono andati molto lontani da quelle che erano le attese del momento storico.
Ad esempio l’ETF iShares Core € Government Bond, rappresentativo di un paniere di obbligazioni emesse da diversi stati dell’Eurozona, ha portato a casa un rendimento lordo di poco inferiore al 1%, meno di un Bund decennale portato a scadenza, ma adeguato se consideriamo il costo della volatilità e l’ambiente di alta inflazione del 2022 che ha inevitabilmente penalizzato i prodotti a duration costante (ed elevata) come gli ETF.
Una peculiarità che naturalmente si tradurrebbe in un vantaggio se nei prossimi anni dovessimo assistere, all’opposto, a un ribasso dei tassi di interesse.
L’ETF globale a cambio coperto non ha dimostrato di essere superiore quanto a rendimenti a un ETF obbligazionario composto solo da titoli europei dimostrando l’efficienza (e la sostanziale indifferenza) dell’investire in un prodotto rispetto all’altro.
L’aumentato costo della copertura del rischio cambio dollaro nel corso degli anni è stato uno dei principali responsabili di una modesta sottoperformance che di nuovo, in caso di riduzione del differenziale tassi tra USA e Euro, si tradurrebbe in vantaggio per il prodotto globale che sopporterebbe oneri di copertura decrescenti.
Per quello che riguarda il mercato obbligazionario abbiamo quindi avuto una conferma di ciò che ogni investitore dovrebbe sapere quando entra sul mercato.
I rendimenti di partenza di un investimento raccontano tanto sul risultato finale
I rendimenti di partenza determinano quelli di arrivo a distanza di 10 anni con una buona approssimazione.
Affermazione che deve sempre tenere in debita considerazione la possibilità che si verifichino eventi inattesi come l’inflazione nel 2022, eventi che nel bene o nel male influenzano il risultato finale in termini reali.
Nel grafico riportato qui sotto vediamo quanto la base di calcolo di partenza influenzi quella di arrivo, ma anche gli effetti sul risultato di eventi shock.
Esattamente quello che è successo agli investimenti obbligazionari americani negli anni ’70. Alti rendimenti nominali di partenza hanno coinciso con bassi rendimenti reali quando l’inflazione sorprese gli investitori; quegli stessi alti rendimenti nominali degli anni ’80 si tradussero in alti rendimenti reali una decade dopo grazie alla decisa riduzione dell’inflazione attuata dalla FED con la sua politica monetaria.
Quando si investe lo si fa sulla base di aspettative e di probabilità di successo.
La certezza del risultato non è di questo mondo.
Nemmeno per chi dice compro un’obbligazione e la porto a scadenza…visto che nessun uomo sul pianeta conosce l’inflazione futura.

Fonte: ofdollarsanddata.com
Se il rendimento nominale del BTP è stato interessante in termini reali ripagando il rischio, le borse mondiali lo hanno fatto in modo ancora più consistente.
Con una performance assoluta (al lordo della fiscalità) quasi 4 volte superiore a quella di un titolo di Stato italiano, e quasi 20 volte superiore a quella dei titoli di stato europei acquistati sotto forma di ETF, il rendimento medio annuo dell’azionario mondiale è stato superiore al 11% annuo. Superando le più rosee aspettative anche di premio per il rischio rispetto alle obbligazioni.
Considerando che le medie storiche di rendimento annuo composto per l’azionario globale si aggirano tra l’8% e il 10% a seconda dei periodi analizzati e della diversificazione geografica, non siamo di fronte a numeri da bolla speculativa, ma nemmeno a numeri così depressi da far pensare a ritorni in doppia cifra garantiti per la prossima decade.
Il celebre Cape di Shiller della borsa americana, il rapporto prezzo utili aggiustato per il ciclo economico, nel 2013 si posizionava attorno a 22. Oggi siamo in zona 30, segno di mercati più cari rispetto ad allora e prevedibilmente meno generosi quanto a performance che verranno consegnate nei prossimi 10 anni.
Stime e non certezze, questo è sempre giusto dirlo. Ma performance stellari nel breve periodo, significano prendere a prestito un pezzettino del rendimento medio di medio o lungo periodo.
Il processo di ritorno verso la media potrebbe quindi fare il suo lavoro, come lo sta già facendo con le obbligazioni. Oppure prima di prendere possesso dei mercati, potrebbe “illudere” le masse sfociando in una bolla speculativa prima di un ritorno drastico alla realtà. Nessuno ha una risposta, ma ne sono certo ancora una volta l’investimento ben diversificato tra classi di investimento produrrà risultati che non saranno mai perfettamente allineati alle previsioni della vigilia.
Previsioni realistiche sulle quali avremo tarato un portafoglio di investimento adeguato a quel rendimento e rischio che saremo disposti a correre per andare dal punto A al punto B del nostro percorso. Percorso che non sarà lineare, spesso emotivamente complesso, ma non per questo deludente.
Fare un tagliando ogni tanto, come ho fatto io con la strategia della scala, è per il sottoscritto sempre utile e formativo. Condividerlo con voi un piacere e il miglior consiglio che posso darvi è strutturare un processo periodico di revisione che possa farci dormire sereni la notte confidenti di aver fatto tutte le scelte dal verso probabilmente più giusto.
Buon investimento.
veramente ottimo, complimenti
Grazie!
Trovo sempre preziosi consigli espressi evidentemente da professionisti seri e grazie soprattutto perché fornite un servizio di educazione finanziaria gratis. Siete i migliori.
Grazie, la nostra missione è anche questa e il tuo commento non può che farci piacere.
Cerco di farmi una cultura finanziaria e sempre piacevolmente scopro che tu sei il mio indispensabile strumento
Grazie Nino, tra i nostri obiettivi c’è anche questo, i tuoi complimenti non possono che farci piacere e… pubblicizza pure lo strumento “indispensabile” a ogni tuo conoscente allora -). A presto.
Ciao Lorenzo,
sono sorpreso della differenza di rendimento fra l’ETF global Eur hedged e l’ETF Core Eur Government. Ben 8.7% di rendimento in meno per ETF global. Mi sarei aspettato che il maggior costo di copertura venisse compensato completamente dal maggior rendimento offerto dai titoli US rispetto a quelli EUR.
Spero che parte della peggior performace sia dovuta anche all’aumento piu rapido dei tassi in America che ha depresso maggiormanete i prezzi dei Treasury rispetto ai bond in Euro. Altrimenti dovrei rivalutare la mia strategia dei bond globale a favore dei governativi europei.
grazie ancora per l’articolo molto interessante
un caro saluto
Mattia
Ciao Mattia. In realtà credo che l’effetto sia stato provocato nei primissimi anni dell’analisi dal ritorno molto importante dei bond periferici europei che stavano uscendo dalla crisi dell’euro. BTP e Bonos soprattutto, che pesando molto sugli indici europei, con i loro rendimenti particolarmente alti hanno favorito il vantaggio dell’ETF sui governativi euro.
La strategia globale eur hedged vs eur govt bond in realtà dal 2015 al 2023 è negativa per entrambe ma con le stesse performance confermando che, al netto di fenomeni come quello appena raccontato, l’investimento globale a cambio coperto offre le stesse opportunità di quello in titoli di stato europei rendendo quasi indifferente la scelta.
Facendo girare un backtest a 20 anni rimane un vantaggio di circa mezzo punto percentuale all’anno per gli ETF europei rispetto a quelli globali a cambio coperto (2,5% cagr annuo vs 2%) con una leggera volatilità in più per l’Europa, ma sempre confermando che si tratta del vantaggio acquisito (e poi risolto) durante la crisi greca. A presto
grazie Lorenzo per l’analisi dettagliata.
Grazie Mattia!